Il ribilanciamento di portafoglio fa parte delle migliori pratiche consigliate da molti rinomati investitori ed è fortemente legato all’approccio buy and hold
Immagina di creare tre portafogli identici, ciascuno con gli stessi ETF, con la stessa asset allocation e così via, in cui investiamo 10.000 euro.
Poi, lasci passare trent’anni e, quando torni ad analizzare il risultato, scopri che, nonostante siano partiti in modo identico, i tre portafogli hanno ottenuto rendimenti diversi.
Ma com’è possibile una cosa del genere?
La spiegazione, in realtà, è più semplice di quanto si pensi. Anche se la partenza era la stessa, diciamo un classico 60 % azioni e 40 % obbligazioni, col tempo la situazione può cambiare parecchio.
Se, per dire, la parte azionaria cresce più delle obbligazioni, alla lunga ti ritroverai con un portafoglio dove le azioni pesano molto di più di prima. E quindi, dopo tanti anni, rischi di trovarti con portafogli che non solo sono diversi fra loro, ma che si portano dietro anche rendimenti e rischi diversi.
Nel nostro esempio, i tre portafogli hanno seguito strategie differenti:
Il primo è stato ribilanciato ogni anno;
Il secondo non è mai stato ribilanciato;
Il terzo invece è stato aggiustato solo quando si discostava di almeno il 15 % dalla sua allocazione originale, insomma da quel famoso 60/40 iniziale.
La domanda che mi sono fatto, e a cui voglio rispondere in questo articolo, è proprio questa: ha davvero senso ribilanciare il portafoglio oppure conviene lasciarlo andare nel lungo periodo seguendo la famosa strategia del “buy and hold”, cioè compra e tieni?
Ipotizziamo che all'inizio, la divisione del nostro portafoglio potrebbe essere 60 % azioni e 40 % obbligazioni. Tuttavia, col passare del tempo questa suddivisione cambia.
Se, ad esempio, le azioni vanno molto bene per vari anni e le obbligazioni meno, ti ritroverai a un certo punto con una quantità maggiore di azioni rispetto al previsto.
Questo è normale, avere asset diversi serve appunto a essere coperti nelle diverse fasi di mercato. Solo che con il tempo i pesi si che ogni asset ha cambiano.
E allora cosa si fa? Si effettua un ribilanciamento? cioè si riportano le percentuali dei vari asset alla situazione originaria, oppure si lascia che ogni asset segua il proprio corso?
Perché ha senso fare il ribilanciamento?
Visto tutto quello che ci siamo detti finora, verrebbe spontaneo dire che sì, bisogna ribilanciare. Infatti, senza un intervento periodico, capita spesso che una componente, di solito le azioni, cresca molto, aumentando di conseguenza il rischio complessivo del portafoglio senza che ce ne accorgiamo.
Basti pensare che un portafoglio partito con il 60 % di azioni e il 40 % di obbligazioni, se lasciato “correre” dal 2010 a oggi senza mai ribilanciare, oggi sarebbe sbilanciato soprattutto a favore delle azioni, che rappresenterebbero quasi il 90 %. Il rendimento sarebbe stato certamente più alto, ma saremmo esposti anche a movimenti molto più bruschi.
Allocazione storica di un portafoglio 60 %-40 %
Fonte: Analisi di justETF al 30/06/2025
I numeri infatti confermano quanto ho appena detto.
Se infatti torniamo indietro fino al 1993, il massimo drawdown di questo portafoglio, cioè la perdita massima dal picco al punto più basso, sarebbe stata del 36 % senza mai ribilanciare, mentre il portafoglio ribilanciato annualmente avrebbe avuto un drawdown massimo del 30 %. Anche il tempo necessario a recuperare le perdite sarebbe stato inferiore: 20 mesi anziché 24.
D’altra parte, però, è vero che lasciando correre il portafoglio senza mai toccarlo il rendimento sarebbe stato superiore. Vale sempre il principio, a piùrischio è associato sempre un maggiorerendimento.
E qui, lo ammetto, la mente può giocare dei bruttischerzi. Non è infatti per niente facile vendere asset che sono andati bene per poi reinvestire su quelli che invece hanno resopoco o sono addirittura andati male.
È una cosa che ci viene quasi naturale: Tendiamo tutti a volerci tenere stretti i “vincitori” e a non voler comprare “i perdenti”. Ma in realtà questa logica di ribilanciamento si basa su un principio molto importante della finanza, che si chiama “ritorno verso la media”: in parole semplici, le performance, sia molto positive sia molto negative, nel tempo tendono a rientrare nella norma. Quello che ha fatto benissimo potrebbe vivere una fase più piatta, quello che ha faticato potrebbe riprendersi.
Quindi, anche se all’inizio può sembrare controintuitivo, ribilanciare regolarmente ha dei vantaggi reali, sia dal punto di vista del rischio sia da quello del rendimento.
E attenzione, come nell’esempio dei tre portafogli, non è detto che si debba ribilanciare ogni anno per forza. Si può anche scegliere di farlo ogni volta che una delle componenti si discosta di una certa percentuale, magari il 5, il 10 o il 15 %, da quanto stabilito all’inizio. Questa strategia intermedia, detta “drift”, ci permette di trovare un equilibrio tra i due approcci.
E i risultati, sui dati storici dal ’93 ad oggi, sempre su un portafoglio 60/40, mostrano che un ribilanciamento al 15 % di scostamento porta un bilanciamento rischio/rendimento molto buono, simile a quello del ribilanciamento annuale e decisamente migliore del “non ribilanciare mai”. Insomma, come vedi, ci sono diverse strade. Non esiste una formula che valga per tutti e per sempre.
Quanto costa il ribilanciamento?
Il ribilanciamento di portafoglio non è a costo zero. Almeno non sempre…
Finora abbiamo infatti parlato di rendimento, rischio, asset allocation… ma c’è un tema che dobbiamo però considerare, ovvero le tasse. Ogni volta che si ribilancia vendendo, se quello che vendi è in profitto, scatta la tassazione: 26 % sulle le azioni, 12 % sulle obbligazioni. E anche questo, fidati, pesa sui rendimenti che abbiamo visto fino ad ora.
Come ci si può regolare allora? La soluzione più efficiente, soprattutto se si è all’inizio, è quella di sfruttare il nuovo capitale che man mano si mette da parte e investire quello per ribilanciare il portafoglio, quando necessario. In questo modo non devi vendere nulla, ma anzi aggiungi soldi proprio dove il portafoglio si è sbilanciato.
Facciamo un esempio pratico: se le azioni sono cresciute tanto e le obbligazioni sono scese, i prossimi soldi li investi tutti in obbligazioni finché le proporzioni non tornano quelle desiderate.
2 modalità per ribilanciare un portafoglio
Fonte: justETF
Se invece non abbiamo nuova liquidità da investire periodicamente, dovrai per forza vendere una parte degli asset che sono saliti di più e comprare quelli che sono scesi, andando a riportare il portafoglio in equilibrio.
justETF Tips: Il tool di creazione e monitoraggio di portafoglio di justETF, ti aiuta anche nel capire come ribilanciare il portafoglio indicando appunto quando vendere e comprare per riportare il tutto alla situazione di partenza.
Quanto vendere e quanto comprare per un ribilanciamento
Fonte: justETF
Dal punto di vista fiscale, questa opzione non è efficientissima anzi, spesso non lo è, ma, se vuoi rimanere fedele alla tua asset allocation, il ribilanciamento è comunque fondamentale.
Se tutto questo ti pare troppo complicato, oggi ci sono anche tante soluzioni già pronte: ad esempio gli ETF multi asset, come i LifeStrategy di Vanguard, che, con un solo ETF, danno già una suddivisione su azioni e obbligazioni secondo diverse percentuali.
In questo caso, il vantaggio è che i ribilanciamenti avvengono all’interno del fondo stesso: noi non dobbiamo preoccuparci né di vendere, né di comprare, e non paghiamo tasse sui ribilanciamenti finché non disinvestiamo.
Questo è sicuramente un grande vantaggio. D’altro canto, però, questi strumenti sono menoflessibili: se negli anni volessimo cambiare la nostra asset allocation – per esempio aumentando unicamente la quota obbligazionaria – con un ETF multi-asset non possiamo farlo. Perché se vendiamo una quota di questo ETF, andremo a vendere sia azioni che obbligazioni. Sempre.
Conclusioni
Quindi, ricapitolando, la strategia di “buy and hold” puro, cioè non ribilanciare mai, può sembrare quella che rende di più sulla carta, soprattutto nei mercati fortemente rialzisti, ma col tempo rischia di esporti a una volatilità e a un rischio che magari non sei davvero disposto a sopportare.
Il ribilanciamento annuale, invece, è una soluzione pratica, perché facile da ricordare e sempre valida. La soluzione intermedia del “drift” (ad esempio ribilanciare solo se una quota si discosta del 10 o 15 %) è anche essa comunque valida e ci permette tendenzialmente di fare meno operazioni, quindi di pagare meno commissioni e tasse.
Per quanto riguarda i rendimenti, la strategia del buy and hold spesso funziona bene, soprattutto nei periodi in cui un asset, come le azioni durante un bull market, performa particolarmente bene.
Il problema è che, lasciando semplicemente andare il portafoglio senza intervenire, si rischia di perdere l’equilibrio e di trovarsi con una parte troppo grande investita su un solo tipo di investimento, aumentando così anche il rischio complessivo.
Dall’altra parte, il ribilanciamentoannuale è semplice e dà una buona regolarità, ma può non essere sempre la scelta col miglior rapporto rischio/rendimento.
Infine, il “drift” al 10 o 15 % trova un compromesso che, storicamente, ha dato ottimi risultati in termini di rischio anche aggiustato per il rendimento.
Un altro motivo fondamentale per cui il ribilanciamento è importante è che seguire una regola oggettiva aiuta a non agire d’impulso, né nei momenti di panico né quando va tutto bene.
Automatizzare il processo, ovvero, darsi delle regole e seguirle, è uno dei modi migliori per proteggersi anche a livello psicologico e non cadere nelle solite trappole emotive tipiche dell’investimento.
In conclusione di tutto quello che abbiamo visto, ribilanciare il proprio portafoglio è fondamentale per:
Controllo del rischio: Il ribilanciamento mantiene il rischio del portafoglio sotto controllo, riportando i pesi agli obiettivi iniziali in modo semplice e tempestivo.;
Decisioni anticicliche: Ti aiuta a vendere quando i mercati sono euforici e comprare quando sono in difficoltà, proteggendo dai cali e migliorando, in alcuni casi, i rendimenti nel tempo.;
Disciplina negli investimenti: Consente di seguire una strategia chiara e automatica, evitando scelte impulsive e senza dover prevedere l’andamento del mercato.
E, ultimo ma non meno importante: il portafoglio “perfetto” per sempre non esiste. Dobbiamo essere pronti a modificarlo, a rivedere tutto, asset allocation e regole di ribilanciamento, ogni volta che la nostra vita, i nostri obiettivi o il contesto cambiano.
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